Il Gilf Kebir è un altopiano che si trova per la maggior parte in territorio egiziano, al confine con il Sudan e la Libia, una remota zona del deserto del Sahara che vale davvero la pena di visitare. 
Ho viaggiato nel Gilf Kebir con il Gruppo Giombelli di Avventure nel Mondo nel Dicembre 2007.

Chi decide di visitare il Gilf Kebir deve amare davvero il deserto, perchè non si vede altro.
L'itinerario è stato realizzato con mezzi 4×4 e una scorta di acqua, cibo e benzina, che ci ha garantito un'autonomia di circa 11 giorni. 
Le zone del Sahara che abbiamo attraversato non sono abitate da millenni; le uniche tracce umane sono rare pitture rupestri e rottami di mezzi della Seconda Guerra Mondiale.
Gli unici esseri umani che ci è capitato di incrociare erano un paio di gruppi di turisti e quattro contrabbandieri sudanesi, che nel mezzo del nulla aspettavano pezzi di ricambio per il loro camion rotto e sovraccarico di merci. 
Raggiungere l'altopiano del Gilf Kebir richiede spirito di adattamento: molte ore in fuoristrada, pernottamenti in tenda, pranzi e cene abbastanza frugali. 
In questo viaggio abbiamo potuto contare su una guida molto esperta, armata di GPS e mappe scaricate da Google, nonchè di autisti veramente in gamba, che sapevano muoversi con sicurezza in questo luogo sperduto. 

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Gilf Kebir significa grande barriera: in effetti si tratta di una regione difficilmente accessibile e totalmente disabitata.
Gli Egiziani sono legati al fiume Nilo e non hanno mai avuto un particolare interesse per l'immenso territorio desertico che li divide dalla Libia. 
Per questo motivo fu raggiunto solo nel 1926 dalle prime esplorazioni del principe Kemal Al Din Hussein, seguite nel 1932 da quelle del conte Laszo Almasy (Il paziente inglese del film di Anthony Minghella) e poi nel 1938 dal cartografo Bagnold. 
Il Gilf Kebir si eleva per 300 metri dalle sabbie del deserto con rocce scure e pareti ripide; si estende per circa 800 kmq e raggiunge i 1.057 metri nel suo punto più alto. 
Le valli conservano pietre lavorate, macine, pitture e graffiti, testimonianze di tribù di cacciatori e pastori che vissero qui anticamente. 
Le pitture e i graffiti del Gilf Kebir non eguagliano quelli della Libia e dell'Algeria, ma vi sono tre siti interessanti: la Grotta Mestekawi-Foggini, definita la Cappella Sistina del Sahara e caratterizzata da numerose impronte di mani; la Grotta dei Nuotatori nel Wadi Soura, scoperta nel 1933 da Almasy, molto rovinata; la grotta di Shaw nel Wadi Wasa, scoperta nel 1935, con alcune pitture di bestiame.

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Il 4 novembre 1922 fu aperta, nella Valle dei Re in Egitto, la tomba di Tutankhamon.
Tra i gioielli del corredo funebre, un pettorale ha incastonato al centro uno scarabeo, ricavato da una pietra trasparente e verdastra. 
Alcuni anni fa, il ricercatore italiano Giancarlo Negro avanzò l'ipotesi che lo scarabeo non fosse di calcedonio, come si riteneva, ma di un materiale più raro: il Silica Glass.
L'ipotesi fu in seguito confermata attraverso analisi gemmologiche. 
Questo purissimo vetro naturale, composto al 98% di silicio puro, dai colori varianti dal bianco, al verde-giallo, al verde-azzurro, si trova nel Great Sand Sea.

Uno tra i primi a dare notizia dell'esistenza di questo vetro naturale fu l'inglese P.A..Clayton. 
Durante una missione di esplorazione geografica nel 1922 ne scoprì alcuni pezzi e lo battezzò appunto Silica Glass.

Secondo la teoria più accreditata, il Silica Glass si è formato circa 30 milioni di anni, in seguito all'impatto di un meteorite, che aumentando incredibilmente la temperatura avrebbe causato la fusione delle sabbie e dell'arenaria nubiana.
Tuttavia, poichè non è stato individuato un cratere che testimoni l'impatto, è stata avanzata l'ipotesi che il corpo celeste sarebbe entrato nell'atmosfera terrestre ad una velocità elevatissima, esplodendo ad una altezza di 10-12 km dalla superficie del deserto. 
L'area sarebbe stata investita da temperature incredibili che avrebbero fuso il quarzo della sabbia. 
Il successivo lento processo di raffreddamento del materiale avrebbe determinato la trasparenza del Silica Glass, che si trova sparso in un area di 25 chilometri di diametro.

Altri studi si incentrano invece su due crateri da impatto conosciuti come OASIS e BP, situati a nord-est di Kufra, ad una distanza di circa 100 km dalla zona del Silica Glass. 
Secondo questa ipotesi il Silica Glass sarebbe derivato dalla fusione delle rocce all'imapatto, rocce scagliate via a grande distanza. 

Il Silica Glass, alla luce del sole, brilla tra le dune del Great Sand Sea. Tuttavia è un materiale che non ha alcun valore materiale; portarlo via dall'ambiente in cui si è formato è un atto gravissimo.

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Tra il Gilf Kebir e l'Oasi di Siwa si estende il Great Sand Sea, un vero e proprio mare di dune lungo 600 km e largo 250 km, a cavallo fra Egitto e Libia. 
Ribattezzato Western Desert dopo la Seconda Guerra Mondiale, fu aperto al turismo agli inizi degli anni '90
E' sempre stato evitato dalle carovane che attraversavano il Deserto del Sahara per la totale mancanza d'acqua e per le terribili tempeste di sabbia.
Il Great Sand Sea è formato da dune di sabbia chiara, alte fino a 150 metri, allineate da nord a sud e disposte in lunghi cordoni paralleli.
I nostri autisti e i nostri mezzi sono stati in grado di superarle senza particolari difficoltà, a parte qualche piccolo insabbiamento. 
Tuttavia le dune possono rappresentare un grosso problema per i viaggiatori che non conoscono la posizione dei punti di attraversamento. 
Nel mezzo del nostro percorso i nostri autisti sono passati vicino alla carcassa di un camion inglese, abbandonato durante la Seconda Guerra Mondiale.
Completamente arrugginito e smerigliato dal vento, è una delle tante carcasse di mezzi militari che abbiamo incontrato in questo viaggio.

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Il Deserto Bianco non ha niente a che fare con il Gilf Kebir, ma è stata una tappa interessante lungo la strada del ritorno.
Si tratta di una piccola area di circa 60 kmq nel Sahara occidentale, fra l'oasi di Farafra a sud e l'oasi di Bahariya a nord. 
Le incredibili formazioni calcaree erose dal vento formano strane figure nel paesaggio lunare.
Si tratta polvere di diatomiti, le micidiali conchiglie che furono capaci di mangiare la barriera corallina, presente quando l'Oceano copriva questa area. 
Il paesaggio cambia nel corso della giornata: sotto il sole del giorno le rocce brillano e abbagliano; al tramonto e all'alba si colorano di arancio e rosa intenso, di notte riflettono la luce della luna e creano una magica atmosfera. 
E' un luogo facilmente raggiungibile dall'oasi di Farafra ed è addirittura segnalato da un cartello stradale. 
E' perciò facile che arrivino diversi gruppi di turisti, che fanno escursioni anche dal Mar Rosso.

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