Un lungo viaggio nell'estate del 2001 alla scoperta di quattro paesi che hanno in comune la storia dell'Asia Centrale,
la religione musulmana, la mescolanza delle razze, la cucina.
Questo viaggio è stato accuratamente preparato e studiato dalla mia amica Titti, che si può considerare un'esperta della Via della Seta.
Il problema più grosso sono i visti, che vanno presi in Italia con un po' di anticipo (tranne quello per il Kirghizistan che si prende sul posto) e che costano molto.
Si spera però che con l'aumento del traffico turistico i prezzi calino e le pratiche diventino più agevoli.
Sul posto si trovano mezzi di trasporto e alloggi senza nessuna difficoltà, il cui prezzo va sempre contrattato fino allo sfinimento!
Il Pakistan e la Cina permettono di viaggiare a costi molto contenuti, mentre l'Uzbekistan e il Kirghizistan sono decisamente più cari.
Globalmente è ancora un viaggio piuttosto costoso e probabilmente è per questo che la maggior parte dei turisti è costituita da gruppi di ricconi piuttosto che da viaggiatori solitari!
STORIA
Il termine "Via della Seta" sembra sia stato coniato nel XIX secolo dall’esploratore tedesco Von Richthofen e indica quell'intreccio di carovaniere, che insieme costituivano l’antica via commerciale che univa la Cina ai territori dell'impero romano.
Il nome romantico deriva dal materiale più pregiato che vi veniva trasportato, la seta.
In realtà le merci che passavano per la Via della Seta erano le più varie: dalla Cina giungeva ovviamente la seta, ma anche tè e porcellane.
Dall’India partivano verso la Cina oro, avorio, gioielli e spezie. Dal Mediterraneo partivano grano, vino, olio, ferro, papiro.
Il mercato degli schiavi era fiorente in ogni direzione.
Aperta probabilmente nel 100 a.C. durante la dinastia Han, la Via della Seta percorreva oltre 6000 km. Partiva da Xi'an, capitale dell'impero cinese e arrivava sino alle coste del Mediterraneo, passando attraverso le pianure della Cina settentrionale, i gruppi montuosi del Pamir e del Karakorum, le città di Samarcanda, Damasco e Odessa, sino a raggiungere Alessandria e Antiochia, importanti porti per il commercio della seta e delle spezie sul Mar Mediterraneo.
Con la nascita e la diffusione dell'Islam nel V secolo e la caduta dell'impero romano, cessò di essere percorsa per essere riaperta all'epoca dell'impero mongolo.
Intorno al 1275 Marco Polo percorse la Via della Seta e raccontò nel Milione il suo viaggio attraverso il Pamir, Kashgar, Hotan fino a Beijing.
Oltre a consentire la circolazione di merci pregiate da oriente a Occidente, la Via della Seta favorì la diffusione di idee e religioni: i missionari portarono per secoli da un capo all'altro del mondo conosciuto i valori del Cristianesimo, dello Zoroastrismo e del Buddismo, fino all’arrivo dell’Islam, che conquistò rapidamente tutta l’Asia minore e l’Asia centrale ed è ancora oggi la religione di questi popoli.
Un ramo importante della Via della Seta era costituito dall'antica via carovaniera che, partendo dall'oasi di Kashgar, attraversava il Pamir cinese e attraversava il Karakorum fino a giungere a Islamabad.
Nel 1947 questa strada era ancora molto simile a quella percorsa da mercanti e missionari del IV secolo.
Occorsero vent’anni, 15mila soldati pakistani, 8mila tonnellate di esplosivo e 80mila tonnellate di cemento per realizzare la KKH o Karakorum Highway.
La KKH si inerpica tortuosa tra montagne e terrazzamenti, seguendo lungo le pareti a strapiombo il corso impetuoso di fiumi come l'Hunza, il Gilgit e l'Indo.
Frequenti frane costringono i Pakistani a fare continui lavori di manutenzione, ma nonostante la pericolosità della strada questo è sicuramente uno dei tratti più spettacolari dell'antica Via della Seta.
UZBEKISTAN
L'Asia Centrale è abitata da tempo immemorabile.
La zona che oggi corrisponde all'Uzbekistan appartenne per lungo tempo alla Persia.
Nel IV secolo passò di qui Alessandro Magno nella sua strada verso l'India.
Durante l'Impero Kushana si diffuse il Buddismo, che venne spazzato via nel VI secolo, quando arrivarono i Turchi portando l'Islam.
Nel XIII secolo toccò alle orde di Gengis Khan, che praticamente distrussero tutto.
E' solo nel XIII e nel XIV secolo, con grandi sovrani come Tamerlano e Ulugbek, che l'Uzbekistan risorge e conosce un periodo di grande fama e prosperità, grazie anche al transito delle merci lungo la Via della Seta.
Nel 1500 alcune tribù mongole riconquistarono e si spartirono il regno formato da Tamerlano e governarono fino al 1875, quando le truppe russe invasero l'Uzbekistan, ritenuto strategico nella fermata della colonizzazione inglese.
Dal 1917 al 1991 il paese ha seguito le sorti dellURSS.
In questi ultimi 10 anni ha cercato di costruire la propria indipendenza, non senza conflitti e tensioni interne e con i paesi vicini.
In questo paese affascina la mescolanza delle razze.
I gruppi etnici principali sono: gli Uzbeki con gli zigomi alti e gli occhi un po' a mandorla; i Tagiki di origine persiana con caratteri simili ai Turchi; i Russi, arrivati nel periodo del blocco sovietico, con la pelle chiara e i capelli biondi.
Di sicuro passeggiando per le strade e nei mercati si rimane stupiti per la varietà dei caratteri somatici.
Non sembrano esserci tensioni razziali tra la popolazione e molti parlano più di una lingua o dialetto.
A scuola lo studio del russo è stato sostituito dall'inglese.
Dal punto di vista turistico l'Uzbekistan è piuttosto semplice da girare.
Superato il problema dei visti in Italia, che vanno richiesti per tempo e costano cari, non ci sono particolari difficoltà: i controlli doganali negli aeroporti sono numerosi ma nemmeno troppo lunghi e fastidiosi; non si è costretti a prenotare tour o pacchetti, ma ci si può organizzare direttamente sul posto; l'inglese è abbastanza diffuso, soprattutto tra chi ha a che fare con i turisti.
La religione musulmana è praticata blandamente, i sovietici hanno tentato in tutti i modi di cancellare cultura e pratiche islamiche.
Le donne sono libere di vestirsi come vogliono e una legge proibisce ai muezzin di chiamare i fedeli in preghiera durante il giorno.
La capacità alberghiera è ancora limitata, scarseggiano le soluzioni decorose a costi medi e bassi, ma alcuni privati cominciano ad attivarsi, soprattutto a Buhara e Samarcanda, per accontentare le richieste di chi viaggia per conto proprio.
Una cosa positiva è che non ci sono ancora i grandi fast food americani!
Quindi si è costretti a mangiare riso, spiedini di carne, ravioli cinesi, nan e soprattutto frutta.
Cocomeri, meloni e albicocche in estate invadono i mercati di tutto il paese. Un grandissimo di generi alimentari, affollato e colorato, si trova a Tashkent, la capitale.
Dal punto di vista paesaggistico l'Uzbekistan non offre particolari attrattive, per lo meno nella sua parte centrale: tratti desertici e desolati si alternano a zone agricole lungo un orizzonte decisamente piatto.
Ciò che attrae i turisti grazie alle tre città carovaniere di Khiva, Buhara e Samarcanda.
Samarcanda e la Via della Seta sono ormai indissolubilmente legate e fanno parte della leggenda.
Costruita da Amir Timur, cioè Tamerlano, divenne la capitale del suo impero e l'immagine della sua ricchezza e potenza.
I suoi successori adornarono la Registan Square, una delle più belle piazze del mondo, con tre imponenti madrase: quella di Ulugbek (XV sec.), di Tilla-Kari (XVI sec.) e di Shir-Dor (XVII sec.).
Samarcanda è piena di monumenti legati alla storia dei Timuridi: la Moschea Bibi-Khanim fu fatta costruire dalla moglie di Tamerlano; il Mausoleo Gur-Amir conserva le spoglie di Tamerlano e del nipote Ulugbek; nei Mausolei di Shaki-Zinda si trovano le tombe dei loro famigliari.
Personalmente mi immaginavo Samarcanda molto diversa.
In realtà è una città molto grande e moderna, piena di viali alberati, aree verdi e un grande bazar.
I monumenti sono sparsi qua e là, ma facilmente raggiungibili a piedi o in taxi.
Anche se Khiva e Buhara hanno un maggiore fascino non è possibile dimenticare la bellezza e l'imponenza della Registan Square, che da sola merita un viaggio in Uzbekistan.
Buhara ha un centro storico molto raccolto e ricco di memorie del passato.
Anche a Buhara l'attrattiva principale è costituita dagli edifici costruiti dai Timuridi: madrase, bagni pubblici, mercati coperti, moschee e il minareto Kalan, alto 47 metri, che domina il panorama cittadino.
Nell'antico castello, denominato Ark, risiedevano i khan che governavano anticamente la città: oggi si può visitare l'interno che raccoglie diversi reperti e mostre sulla storia della città.
Buhara è famosa nel mondo per gli omonimi tappeti, che vengono venduti in numero notevole in tutti gli angoli e in tutti i bazar: in realtà provengono dal Turkmenistan, di cui Buhara faceva parte prima della suddivisione operata dai sovietici.
Khiva è una città antichissima.
Già nell'VIII secolo era un'importante stazione lungo il ramo della Via della Seta che puntava verso il Mar Caspio.
Nel XVI secolo divenne capitale dei Timuridi e un importantissimo mercato di schiavi.
Nei tre secoli successivi fu la capitale di un piccolo khanato, tristemente famoso per la severità e la crudeltà dei suoi governatori, che non esitavano a infliggere pene durissime ai trasgressori e ai criminali.
Oggi Khiva è un'incredibile città-museo: il palazzo del khan, le antiche abitazioni, le madrase, le moschee, i minareti, le tombe e l'antico bazar si trovano tutti all'interno dell'imponente cinta muraria, su cui si aprono le quattro porte in corrispondenza dei punti cardinali.
Al tramonto è veramente spettacolare.
Al di fuori di essa si sviluppa la città moderna, che rimane assolutamente invisibile mentre si gira per le strade, affascinati dall'architettura timuride.
KIRGHIZISTAN
Il Kirghizistan è un paese con pochissime risorse e scarsamente popolato.
Le infrastrutture sono poche, le strade scarse e tenute male, la benzina piuttosto cara per gli standard locali.
Parlando con un ragazzo italiano che sta lavorando a Bishkek abbiamo avuto conferma del fatto che l'industria è praticamente inesistente e la popolazione si sostiene con l'agricoltura e la pastorizia.
La cultura islamica sopravvive a fatica; la maggior parte dei giovani è atea e le moschee sono vuote; il tasso di alcolismo è molto elevato e la criminalità in aumento.
Il governo ha semplificato le pratiche burocratiche per entrare nel paese, favorendo il turismo internazionale che attualmente è una delle pochissime risorse disponibili.
Non è facile prevedere il futuro di questo paese, schiacciato tra due colossi, la Cina e il Kazakstan, sotto il costante rischio di invasione o di vendersi al miglior offerente.
Tuttavia, nonostante questo quadro un po' funereo, la situazione sembra ancora abbastanza tranquilla; inoltre il Kirghizistan ha delle vere bellezze naturali, sicuramente incontaminate, che possono attirare gli appassionati di trekking.
Bishkek è una stranissima città: è piena di parchi e di viali alberati.
Spesso gli alberi coprono pietosamente le bruttezze architettoniche e lo stato di degrado di palazzi e condomini.
Per contrasto nel centro sorgono alcuni alberghi lussuosissimi, ristoranti internazionali e Internet cafè, frequentati dai ricconi locali e da chi lavora nelle ambasciate.
La statua di Lenin troneggia nei pressi della Ata-Too Square.
Mentre tutti i paesi dell'ex URSS si sono affrettati a smantellare questi simboli del passato, i Kirghizi sembrano conviverci pacificamente!
Sebbene sia usata dai turisti semplicemente come punto di partenza per organizzare il viaggio in Kirghizistan, secondo me vale la pena di dedicare qualche ora a Bishkek, una città piena di contraddizioni.
La strada asfaltata che da Bishkek porta al Lago Issik Kul passa attraverso alcuni villaggi con i loro piccoli cimiteri, circondati da campi di colza e di girasoli.
Di tanto in tanto si incontra qualche yurta, con annesso un baracchino in cui si vendono albicocche e pesce secco.
A circa un'ora da Bishkek vale la pena visitare la Burana Tower, un'antica torre dell'XI secolo, che sorgeva sulla Via della Seta.
Tutt'intorno si trova una necropoli con numerose lapidi in pietra.
Il Lago Issik Kul è, dopo il Titicaca, il più grande lago montano del mondo.
E' lungo 170 km e largo 70 km ad un'altitudine di 1600 m.
E' circondato da montagne innevate, che raggiungono i 4000 m.
In estate è frequentato da famiglie che, armate di materassini, salvagenti, asciugamani e creme abbronzanti si crogiolano al sole… quando c'è.
Vale la pena fare una sosta per vedere come ci si gode la vita in questa parte un po' sperduta del mondo; oppure si possono organizzare camminate ed escursioni sulle montagne circostanti.
Dal Lago Issik Kul al Torugart Pass il paesaggio cambia completamente.
A partire dal Dolon Pass è tutto un susseguirsi di montagne brulle e praterie popolate da mandrie sparute di mucche e cavalli.
Qua e là qualche gruppo di yurte segnala la presenza di nomadi kirghizi, che sono veramente simpatici e ospitali.
Le donne e i bambini sono contentissimi di farsi fotografare e invitano tutti a visitare le loro yurte.
In cambio chiedono solo di spedirgli la foto ad un indirizzo che solo un postino kirghizo potrà decifrare!
Più o meno a metà strada sorge Naryn, cittadina sul fiume omonimo, che scorre tumultuoso fino alla Fergana Valley in Uzbekistan.
A Naryn abbiamo dormito allo "Yurta Inn", un albergo che dispone di una decina di yurte, dove i visitatori possono dormire abbastanza comodamente: è una cosa un po' turistica, ma simpatica.
Una sosta a Naryn per la notte è praticamente obbligatoria: la mattina ci si alza prestissimo e si parte per ilTorugart Pass. La strada è pessima, circa quattro ore di sobbalzi, ma attraversa paesaggi maestosi, che cambiano continuamente: montagne, ghiacciai, fiumi e laghetti si illuminano all'alba man mano che ci si avvicina al confine.
Il Torugart Pass si trova a 3752 metri di altitudine ed è sgombro dalla neve solo da maggio a settembre.
Passati i controlli kirghizi si arriva all'Arc e lì si aspetta un corrispondente cinese, contattato in precedenza ovviamente, che preleva i suoi turisti e li porta a Kashgar.
Non esistono altre possibilità, almeno per il momento.
Gli autisti che accompagnano i turisti sono sempre gli stessi, quindi sono ben conosciuti ai doganieri e di solito danno una mano ad accellerare le noiose pratiche burocratiche.
XINJIANG
L'impatto con la Cina è stato forte: dopo due settimane in Uzbekistan e in Kirghizistan, dove bene o male si riusciva sempre a trovare qualcuno che parlasse inglese, le difficoltà nel capirsi con i cinesi ci hanno creato un po' di problemi.
Tuttavia non è proprio corretto definire Cina lo Xinjiang, dato che si tratta di una regione autonoma, annessa nel 1949 alla Repubblica Popolare.
Nel brevissimo tratto che abbiamo attraversato, lo Xinjiang confina con Kirghizistan, Tajikistan, Afghanistan e Pakistan.
Non stupisce quindi che convivano anche qui diverse etnie: quella principale è costituita dagli Uyguri, popolazione di origine turca e di religione musulmana.
Ci troviamo ancora nell'area islamica dell'Asia centrale, un mondo culturale a parte, un tempo ben lontano da quello cinese.
Le scritte uyguri, simili all'arabo, affiancano dappertutto la traduzione in cinese e quella rarissima in inglese; molte donne si coprono il volto con un orrido tessuto marrone e le moschee sembrano essere frequentate da numerosi fedeli.
L'autonomia dello Xinjiang e la dignità della cultura uyguri sono tuttavia in pericolo: il potere politico ed economico è in realtà nelle mani dei cinesi; chi non parla cinese non può aspirare a cariche o lavori di prestigio; il massiccio incremento della popolazione cinese minaccia il predominio della cultura uyguri.
Lo Xinjiang è vastissimo, circa un sesto del territorio cinese, ma per la maggior parte è coperto da montagne e dal deserto del Takla Makan.
Per mancanza di tempo noi abbiamo viaggiato solo da Kashgar al Kunjerab Pass, lungo il tratto cinese dellaKarakorum Highway (KKH).
Kashgar e Taxkorgan sono antichissimi punti di scambio commerciale tra Oriente e Occidente.
Qui si inseriva il ramo più meridionale dell'antica Via della Seta, che proveniva dall'Afghanistan e sicuramente Marco Polo passò per questi luoghi.
Sebbene la sua descrittiva nel Milione sia approssimativa, è certo che Marco Polo percorse la pista afghana e attraversò il Pamir cinese, costeggiando probabilmente il Karakul e dirigendosi verso Kashgar.
Kashgar sorge al centro di una grande oasi, famosa per la produzione di verdura e frutta, in particolare meloni, esportata in tutta la Cina, sia fresca che seccata.
E' una città che sta subendo una profonda trasformazione o "cinesizzazione": le vecchie case vengono abbattute per far posto ad edifici moderni, tutti ricoperti di tremende piastrelline bianche; l'enorme statua di Mao troneggia nel centro cittadino; la mattina presto davanti ai supermercati i dipendenti schierati come soldatini dedicano un'ora agli esercizi ginnici.
La old town mantiene invece un certo fascino: la grande moschea Id Kah domina la piazza principale, in ogni quartiere c'è una piccola moschea dove gli uomini si riuniscono a chiacchierare e riposare, l'affollato bazar vende stoffe e tappeti, dai portoni delle case in adobe si affacciano i bambini incuriositi.
Il mercato della domenica è un evento da non perdere.
Centinaia di persone arrivano la mattina presto per animare l'enorme bazar, dove si vende di tutto, dal colbacco al cocomero, dai televisori al tè verde.
Gruppetti di turisti si aggirano con aria sperduta nella confusione generale, tra camion e tuk tuk strombazzanti, carretti trainati da asini, greggi di pecore diretti al recinto per gli animali, butta-dentro di piccoli ristoranti dove il piatto principale è costituito da enormi ravioli al vapore.
La strada da Kashgar al lago Karakul è impressionante: costeggia il Pamir cinese, un altopiano roccioso situato tra montagne innevate su cui non cresce nemmeno un filo d'erba e battuto da un vento freddo fortissimo.
Tra una montagna e l'altra piccoli torrenti e laghetti, generati dal disgelo dei ghiacciai, riflettono la luce del sole accrescendo la bellezza del paesaggio.
La strada è stretta e tortuosa, a tratti sterrata e costantemente soggetta a frane.
E' una zona praticamente disabitata: a parte qualche yurta di pastori kirghizi e l'autobus di linea stracarico di merci e passeggeri non abbiamo visto anima viva.
Il Karakul è un piccolo lago a 3600 metri, circondato da montagne innevate. Il campo base offre alloggio sia in yurte che in stanze ed ha un piccolo ristorante.
E' il punto di partenza per passeggiate, giri a cavallo o in cammello ed escursioni più impegnative sulle montagne circostanti.
Vicino al campo base si trovano un accampamento e un piccolo cimitero di pastori kirghizi, che tentano disperatamente di vendere qualche souvenir, probabilmente acquistato a Kashgar, ai turisti di passaggio.
A un paio d'ore dal Karakul si trova Taxkorgan, ultima tappa in terra cinese prima di affrontare le pratiche doganali e partire verso il Pakistan. Taxkorgan non ha particolari attrattive, a parte la Stone City, antico forte della dinastia Qing da cui si gode una bella vista della vallata circostante.
La mattina presto ci si presenta alla frontiera, dove in una o due ore si sbrigano le pratiche doganali cinesi.
Con un proprio mezzo cinese si prosegue nella terra di nessuno verso il Kunjerab Pass, a 4850 metri, dove i Cippi di confine ricordano che qui finisce la Cina e comincia il Pakistan; opportuni cartelli avvertono gli autisti che in Cina si guida a destra e in Pakistan a sinistra!
PAKISTAN
Appena arrivati a Sost e sbrigate le pratiche doganali ci si ritrova ufficialmente in Pakistan.
Lasciato il mezzo cinese non è un problema trovare un trasporto per la vicina Karimabad, basta contrattare con uno dei tanti autisti che girano intorno alla dogana.
Da Karimabad a Islamabad la KKH segue il corso dell'Hunza, del Gilgit e dell'Indo, che dividono la catena del Karakorum dalle ultime propaggini occidentali dell'Himalaya, che si innalza a ottomila metri con il Nanga Parbat, nei pressi di Chilas.
La barriera formata dalle montagne altissime blocca i monsoni che provengono da sud; a volte piove anche intensamente ma in generale in estate il clima è buono, fresco e abbastanza soleggiato.
Un'immagine ricorrente è quella degli ampi panieri pieni di albicocche, stese a seccare al sole sui tetti delle case, per essere poi consumate durante l'inverno.
Karimabad è uno dei luoghi più turistici incontrati in questo viaggio.
Il panorama è grandioso, con i contrasti cromatici tra i fianchi aridi delle montagne, i ghiacciai del Rakaposhi, i campi coltivati e i frutteti ricavati con il sistema dei terrazzamenti.
Quasi tutti gli hotel di Karimabad hanno una terrazza da cui godere il panorama in santa pace. Se si sente il bisogno di muoversi un po' basta rivolgersi alle numerose agenzie del posto, che organizzano trekking ed escursioni nei dintorni, spostandosi con le agili jeep aperte.
Vale inoltre la pena di visitare il palazzo del mir, che domina la valle dell'Hunza.
Oppure fare una passeggiata tra i villaggi che sorgono lungo il canale, tra case in adobe e cespugli di marijuana, che qui crescono spontanei come da noi l'ortica.
Grazie alla fondazione dell'Aga Khan questa è una delle zone più prospere e alfabetizzate del Pakistan.
Lungo il breve tratto di KKH che conduce a Gilgit si attraversa la stupenda valle del Nagar, si ammira da nuove angolature il Rakaposhi e si avvistano alcuni allarmanti ponti sospesi, per fortuna pedonali!
Il traffico è costituito soprattutto dagli allegri e variopinti camion pakistani.
Pare che una buona decorazione costi dalle 7mila alle 10mila rupie, che equivalgono più o meno a due o trecentomila lire.
Gilgit non ha particolari attrattive, ma è la base da cui organizzare escursioni e trasporti per visitare questa zona del Pakistan.
Sempre per ragioni di tempo noi abbiamo deciso a questo punto di proseguire per la Swat Valley, Peshawar e Lahore.
La Swat Valley è molto verde, piena di piccoli villaggi e casette sparse tra le montagne coperte dalla vegetazione lussureggiante, dove vengono a trascorrere le vacanze i cittadini di Islamabad.
Qui il clima è più caldo e umido, ma non fastidioso.
A Saidhu Sharif, oltre all'animato mercato, si possono visitare un museo e alcuni scavi delle rovine della grande civiltà Gandhara.
Nel 327 a.C. Alessandro Magno arrivò fin qua durante le campagne per la conquista dell'impero persiano.
Pare che i discendenti dei suoi soldati, lasciati a guardia dei territori conquistati, furono i fondatori del grande impero Kushana, la cui capitale era Peshawar e che raggiunse il massimo splendore nel II secolo d.C.
Questo fu un periodo di pace, con intensi scambi commerciali tra la Cina e l'impero romano: i Kushana, che si trovavano proprio al centro della Via della Seta, facevano ovviamente affari d'oro!
La ricchezza dell'impero contribuì allo sviluppo dell'arte Gandhara, che inserisce elementi dell'arte greca nella raffigurazione del Buddha e negli elementi decorativi degli stupa.
Oggi non è rimasto molto dei luoghi di culto e delle città Gandhara, ma vale la pena visitare questi siti archeologici e i piccoli musei per il loro valore storico e artistico.
A Peshawar ci si è ormai lasciati alle spalle le montagne e il clima è decisamente molto più caldo e umido!
E' una città divisa in due: da una parte la zona vecchia, con la splendida moschea del venerdì completamente bianca, che al tramonto si tinge di rosso; tutto intorno si sviluppa un grande mercato, dove si trova un po' di tutto.
Verso sud si espande la città moderna, con qualche grande albergo e tanti negozi che vendono soprattutto tappeti afghani.
Peshawar si trova infatti a pochi chilometri dal confine afghano e ospita attualmente sette campi profughi, in larga parte sovvenzionati dall'Occidente.
Per le strade si notano molte donne afghane completamente coperte da un pesante velo azzurro o nero; solo una finestrella grigliata permette loro di vedere dove mettono i piedi!
In generale comunque a Peshawar si respira un'atmosfera molto più integralista che negli altri luoghi del Pakistan che abbiamo visitato.
Un'escursione obbligatoria è quella al Kyber Pass, da dove si può vedere il confine con l'Afghanistan e dove sono morti migliaia di soldati in guerre varie per il controllo del passaggio; lungo la strada sorgono i fortini delle tribù, che continuano ad arricchirsi con il traffico della droga proveniente dall'Afghanistan.
Da Peshawar abbiamo proseguito per Lahore.
Lungo la strada abbiamo visitato Taxila e il Rothas Fort. Taxila è il principale sito della civiltà Ghandara, con un piccolo museo e vari stupa e templi, in parte restaurati.
Il Rothas Fort sorge, come una cattedrale nel deserto, sull'antica via che conduceva niente meno che a Calcutta.
E' un'enorme fortezza cadente; abbiamo potuto ammirarlo solo da lontano, dato che non esiste una strada percorribile tutto l'anno che permetta di raggiungerlo.
Lahore è una delle principali città del Pakistan e la capitale del Punjab.
L'architettura moghul è degnamente rappresentata dalla grande moschea rossa Badshahi, dall'imponente forte e dal mausoleo dell'imperatore Jehangir, che ricordano i monumenti di Agra e di Delhi.
Una cosa assolutamente da fare è passeggiare per i grandi e animatissimi bazar, dove si vende di tutto, dai gioielli, alle stoffe, alle cianfrusaglie; i venditori sono gentili e simpatici ma bisogna comunque contrattare selvaggiamente per qualsiasi acquisto.
Lahore è decisamente sovraffollata, con un traffico e uno smog terribili, ma si respira un'aria di maggiore libertà, soprattutto per le donne.
Lungo il Mall, dove sorgono i grandi alberghi e campeggiano le insegne dei fast food americani, che abbiamo incontrato qui per la prima ed unica volta in tutto questo lungo viaggio, capita facilmente di vedere gruppetti di ragazze che vanno a mangiare da sole una pizza o un hamburger.
La vicinanza con l'India si fa sentire nelle abitudini e nel modo di vestire delle donne, che non portano il velo, ma una sorta di sciarpa che appoggiano in testa senza coprirsi il volto, così come le indiane usano il sari.
Il Pakistan è un paese che meriterebbe da solo un lungo viaggio: ci ha stupito e affascinato non solo per le sue bellezze paesaggistiche, archeologiche e culturali, ma anche per la gentilezza e disponibilità della gente e in particolare per la profonda diversità con cui viene vissuta la religione musulmana da est a ovest, da nor a sud, dalle grandi città ai piccoli villaggi di frontiera.